Ricordi dell’epopea valtortiana

Panorama di Isola del Liri negli anni Sessanta

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Isola del Liri è una ridente cittadina del Lazio che prende il nome dalla particolare configurazione del suo centro urbano racchiuso tra due rami del fiume Liri. L’industria della carta e della lana ha vantato una tradizione nella sua storia, ma il nome d’Isola del Liri è conosciuto oggi per un altro motivo. Lo hanno sotto gli occhi i lettori di ogni parte del mondo che prendono in mano i libri dell’Opera di Maria Valtorta, oggi tradotta in circa trenta lingue, i cui volumi riportano il nome del Centro Editoriale Valtortiano, la casa editrice italiana con sede in Isola del Liri, che le pubblica in proprio o ne permette ad altri la pubblicazione. Nel primo decennio del Novecento sorgeva nell’Isola del Liri un’azienda tipografica per iniziativa di Arturo Macioce, che dopo alcuni anni accoglieva come socio il giovane cognato Michele Pisani, fratello di sua moglie. La “Società Tipografica A. Macioce & Pisani”, siglata STAMP, si imponeva per l’accuratezza della stampa e confezione di libri, commissionati in prevalenza da istituzioni cattoliche romane. Nel 1946 il Macioce, di quindici anni più anziano del cognato, suo socio, si ritirava facendo sciogliere la Società, la cui attività proseguiva con la ditta individuale denominata “Tipografia Editrice M. Pisani”, che riprendeva a stampare libri per conto di editori pontifici, curie generalizie di ordini religiosi, istituti cattolici di cultura e associazioni cattoliche. (E.P.)

 

 

Nel 1952 Maria Valtorta affidava alla suddetta tipografia la pubblicazione della sua Opera. Se ne prese cura Emilio Pisani, figlio di Michele, e, nel 1956, si dava alle stampe il primo volume.

La composizione tipografica di un libro avveniva con il sistema meccanico della linotype. L’operaio linotipista leggeva il testo sul foglio messo sul leggio e lo batteva sulla tastiera della macchina. Il meccanismo della linotype era complesso e affascinante per la perfetta concatenazione delle sue fasi, fino a quella di espellere, una dietro l’altra, le righe fatte di piombo. Legate fra loro queste righe andavano a comporre una pagina.

La materia prima della linotype era il piombo, che fondeva in un crogiolo, alimentato di continuo dalle righe di piombo di libri già stampati e allestiti. Infatti, dopo la stampa di un libro per una tiratura di copie prestabilita, le pagine di piombo venivano conservate in vista di una eventuale ristampa; ma prima o poi dovevano essere disfatte e fuse perché non si esaurisse la materia prima che era necessaria a far lavorare la linotype.

L’Opera della Valtorta era alla sua prima edizione. Si pensava di poterla comporre e stampare in soli tre volumi, ma non si aveva la cognizione esatta della sua mole. Si era arrivati a comporre 1200 pagine quando ci si avvide che mancava ancora molto per completare la materia prevista per il volume primo. Si dovette chiudere a quel punto il volume e ripensare l’edizione non più di tre ma di quattro volumi (i volumi dal secondo al quarto, di 900 pagine ciascuno).

Il volume primo dell’Opera, pubblicato nel 1956, era un “mattone” di cm. 17×24 circa, dello spessore di quasi 7 centimetri. Sulla copertina di cartoncino grigio campeggiava il titolo senza alcun ornamento grafico e senza il nome dell’autore. Di fitta stampa erano le pagine di testo. Il volume aveva tutte le caratteristiche di un prodotto librario destinato all’insuccesso, eppure fu seguito dal volume secondo nel 1957 e dal volume terzo nel 1958. Era in corso di composizione il quarto ed ultimo volume (che sarebbe uscito nel 1959) quando le mille copie stampate del volume primo si esaurirono. La ristampa del volume non era possibile, essendo state disfatte le pagine di piombo non solo per alimentare la linotype ma anche perché si pensava già di dover ricomporre per intero l’Opera in una nuova edizione accuratamente revisionata e suddivisa in un numero di volumi più maneggevoli. (E.P.)

 

Panorama di Monte San Giovanni Campano (foto di F. Bianchi)

 

In tipografia, Emilio Pisani curava prettamente il lavoro editoriale e il fratello minore, Ettore, si occupava degli aspetti tecnici-produttivi. Preoccupato per le crescenti difficoltà, il giovane e intraprendente Ettore si affrettava a proporre nuovi sistemi di stampa per migliorare la gestione di tutto il sistema produttivo.

Ci si avviava così all’installazione della prima macchina da stampa offset. Ma bisognava prima convertire le vecchie matrici in piombo in nuovi supporti fotosensibili (pellicole e lastre).

Seguendo il consiglio dello zio materno, don Raffaele, i due fratelli Pisani assunsero un giovane sordo-muto di Monte San Giovanni Campano, un comune poco distante da Isola del Liri.

Ad Antonio Bottoni, questo il suo nome, fu affidato il compito di riprodurre fotograficamente tutte le pagine dell’Opera e, affinché si potesse cominciare a stampare con le nuove attrezzature, doveva anche dedicarsi alla preparazione delle lastre fotosensibili.

Nei locali della tipografia, fu allestita una piccola camera oscura (questi supporti non potevano essere esposti alla luce del giorno) e, sempre affiancato e supportato da Ettore Pisani, Antonio trascorreva intere giornate al buio procedendo con le varie fasi per produrre i negativi, lo sviluppo, il fissaggio e, ancora, alla realizzazione del positivo fotografico.

Le giornate divennero settimane, poi mesi ed infine anni. Sempre alla ricerca della massima qualità, l’intero lavoro fu ripetuto una seconda volta.

 

 

Antonio è rimasto in servizio nella Tipografia Editrice M. Pisani fino al giorno del suo pensionamento. È morto l’11 luglio 2024, all’età di 77 anni. Persona sensibile e sempre disponibile verso gli altri, era un pregevole artista della lavorazione del legno ed è stato anche maestro per le nuove generazioni entrate nella Tipografia Editrice M. Pisani negli anni Ottanta.

Daniel

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