LA VITA DI MARIA VALTORTA
La violetta del Signore
Al tempo in cui io sono nata il biancospino spruzza di neve viva le siepi fino allora brulle, ed i suoi fioretti, candidi come piuma perduta da colomba in volo, carezzano le spine rosso-brune dei suoi rami. In certi paesi di Italia chiamano il biancospino selvatico “Spina Christi” e dicono che la corona spinosa del Redentore era fatta di questi suoi rami che, se torturanti per la carne del Salvatore, sono protettori dei nidi che nuovamente s’empiono di pispigli e d’amore.
Ai piedi del biancospino, fiore quaresimale nella veste e cristiano nell’umiltà, odora mite la violetta… Un odore più che un fiore… un lieve e pur penetrante odore, un umile e pur tenace fiore che di tutto si accontenta per vivere e fiorire.
Vorrei chiamare questa vita col nome di uno di questi due fiori e “specie della violetta”, che vive nell’ombra ma che “sa” che su lei splende il sole per darle vita e calore. Lo sa, anche se non lo vede; e odora, esalando tutta sé stessa in incenso d’amore, per dirgli “grazie”. (Maria Valtorta, Autobiografia)
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La nascita
Maria Valtorta nacque il 14 marzo 1897 a Caserta, dove i genitori, che erano lombardi, si trovavano temporaneamente. Era figlia unica di un maresciallo di Cavalleria, uomo buono e remissivo, e di una insegnante di francese, donna bisbetica e severa. Dopo aver rischiato di morire nel nascere, la piccina venne affidata ad una balia di cattivi costumi, che arrivava al punto di lasciarla per ore tra i solchi di grano nella campagna assolata.
Trasferimento al Nord
Dovendo la famiglia seguire i dislocamenti del Reggimento di Cavalleria nel quale il padre prestava servizio come ufficiale, Maria lasciò Caserta quando aveva diciotto mesi, visse la prima infanzia a Faenza, in Romagna, e cominciò a frequentare le scuole, con molto profitto, a Milano e poi a Voghera, dove fece la prima Comunione.
L’infanzia
Intelligente e volitiva, di natura passionale, Maria nutriva le legittime aspirazioni di ogni donna, ma nella sua anima non si spense mai “l’ansia di consolare Gesù facendosi simile a Lui nel dolore volontariamente patito per amore”. Da bambina, infatti, contemplando la statua di un Cristo deposto dalla croce, ne aveva sentito compassione per aver capito quale amore per l’umanità ci fosse in quel sacrificio estremo.
La Grande Guerra
Negli undici anni trascorsi a Firenze, interrotti da una lunga vacanza a Reggio Calabria presso parenti albergatori, la madre permise a Maria di fare, per diciotto mesi, l’infermiera samaritana in un ospedale militare (imperversava la prima guerra mondiale) ma anche spense nella figlia il sogno di essere sposa e madre interrompendo brutalmente sul nascere un primo e un secondo fidanzamento.
L’Attacco
Mentre passeggiava per le strade di Firenze, Maria subì un attacco da un fanatico socialista, l’uomo la colpì con una spranga alla spina dorsale, all’altezza dei reni, causandole una paralisi.
A Reggio Calabria
Fu allora che Maria ebbe la provvidenziale opportunità di trascorrere due anni a Reggio Calabria, ospite di parenti albergatori che con il loro affetto, unito alla bellezza naturale del luogo, contribuirono a ritemprarla nel fisico e nell’anima. Durante quella vacanza sentì nuove spinte verso una vita radicata in Cristo; ma il ritorno a Firenze, nel 1922, la risommerse nei ricordi amari.
L’infermità
La sua salute, minata dalle dure prove, si faceva sempre più malferma, ma non le impediva di impegnarsi in una forma di apostolato parrocchiale e in opere caritative, fino a quando il suo crescente amore a Dio e per le anime la spinse alla decisione eroica di offrirsi vittima all’Amore e alla Giustizia divine. Una paralisi progressiva agli arti inferiori, conseguenza di una mazzata alle reni ricevuta per strada da un sovversivo quando era a Firenze, la faceva muovere con difficoltà sempre maggiore. Divenne inferma del tutto dal giorno di Pasqua dell’anno 1934.
Maria Diciotti e la perdita dei genitori
L’anno seguente ebbe la consolazione di vedere accolta in casa Marta Diciotti, una giovane rimasta orfana e sola, la quale sarebbe diventata la sua assistente e confidente per tutto il resto della vita. Appena un mese dopo ebbe il grande dolore di non riuscire a levarsi dal letto per poter assistere l’amatissimo papà nei suoi ultimi istanti di vita. Così anche per la mamma, che morì il 4 ottobre 1943, amata e rispettata fino all’ultimo dalla figlia, che aveva ricevuto da lei soltanto durezze.
La scrittura
Rimanendo semiseduta nel letto, paralizzata dalla cintola in giù, Maria scrisse tutto di suo pugno con penna stilografica su comuni quaderni poggiati alle ginocchia inarcate, ininterrottamente per anni, di getto, senza rileggere e correggere, mentre era stremata da sofferenze di ogni genere e confortata da rapimenti di gioia spirituale, in un nascondimento voluto perché lei fosse conosciuta solo dopo la morte.
La seconda Guerra Mondiale
Non sospese di scrivere neppure quando il passaggio della seconda guerra mondiale la costrinse a sfollare da Viareggio per rifugiarsi a Sant’Andrea di Còmpito (frazione del comune di Capànnori in provincia di Lucca) dove si vide trapiantata, con il mobilio della sua camera d’inferma, dall’aprile al dicembre del 1944.
Lo stato contemplativo
Si volle attribuire quel suo nuovo stato all’offerta del proprio intelletto, attestata in una sua lettera, e ad una promessa di Gesù, riportata in un “dettato” del 1947, quando per lei sembravano terminate le “visioni” dell’opera maggiore: “Io sempre verrò. E per te sola. E sarà ancora più dolce perché sarò tutto per te… ti porterò più su, nelle pure sfere della pura contemplazione… D’ora in poi contemplerai soltanto… ti smemorerò del mondo nel mio amore”.