ROMANZO O NO?
“L’opera di Maria Valtorta è stata pubblicata come un romanzo, e spero che a tal titolo continui a ristamparsi e spesso nell’avvenire, ma non è un romanzo”. La lapidaria sentenza è di P. Gabriele M. Allegra (1907-1976), francescano missionario in Cina, primo traduttore della Bibbia in lingua cinese, proclamato Beato il 29 settembre 2012. Egli prosegue: “… non è un romanzo. È il complemento delle quattro tradizioni evangeliche e la spiegazione di esse”.
Esegeta e letterato, uomo di fede e di scienza, apostolo in terra di missione, Padre Allegra dichiara i suoi apprezzamenti per l’opera valtortiana nelle note del diario e nelle lettere a confratelli, a parenti, a conoscenti. Eccone alcuni stralci:
… io sento in questo libro il Vangelo, o meglio il profumo inebriante del Vangelo.
È un’opera che fa crescere nella cognizione e nell’amore del Signore Gesù e della sua Santa Madre.
… certi discorsi del Signore, dei quali nei Vangeli è solo accennato l’argomento principale, sono sviluppati in quest’opera con una naturalezza, con una concatenazione di pensiero così logica, così spontanea, così aderente al tempo, al luogo, alle circostanze, che non ho trovato nei più famosi esegeti.
… non contraddice mai al Vangelo, ma lo completa mirabilmente e lo rende vivo e potente, tenero ed esigente.
Circa l’esegesi della Valtorta ci sarebbe da scrivere un libro…
Dunque: si legge come un romanzo, ma non è un romanzo. Neppure si può dire che sia un’opera esegetica in senso stretto, cioè d’interpretazione dei testi evangelici, perché l’intento propriamente tale lo troviamo solo in qualche “dettato” a commento di un noto fatto evangelico: quando, per esempio, viene rettificata e chiarita l’espressione “il giorno dopo” in un passo del Vangelo di Giovanni (47.10), oppure quando viene integrata con un “più” la risposta di Gesù alla Madre nelle nozze di Cana (52.7), o corretta l’espressione “bere il mio calice” in “bere al mio calice” (577.11). Le inesattezze vengono addebitate non alla redazione originale degli evangelisti ma all’opera dei traduttori. Tuttavia anche agli evangelisti non viene risparmiata qualche critica, magari con una motivazione che li giustifica, come quando (in 594.9) Gesù spiega le ragioni per cui essi non hanno tramandato la lezione sul fico sterile.
La critica esegetica è marginale nell’opera, eppure tutta l’opera costituisce un formidabile contributo all’esegesi dei quattro Vangeli. Lo dimostra il presente libro portando l’esempio di significativi passi evangelici che l’opera della Valtorta “fa comprendere nella loro pienezza”, come è scritto nella premessa, aggiungendo: “attraverso il racconto della vita terrena di Gesù”. Ecco il punto: è un’opera biografica. Qualche lettore, con encomiabile audacia, l’ha definita Autobiografia di Gesù, non potendo rinunciare a crederla “rivelata”.
Se può essere accettata come tale, nel rispetto delle regole che la teologia cattolica detta per qualificare le rivelazioni private, non vi è alcun dubbio che la conoscenza viva e reale di tutto ciò che Gesù faceva e diceva giorno dopo giorno, con il corollario del resoconto della sua nascita e infanzia e, infine, della passione, morte e resurrezione, altro non sia che la conoscenza piena del Vangelo. Perciò il genere biografico, riferito alla Persona di Gesù, risponde bene alla finalità evangelizzante dell’opera di Maria Valtorta.
Il carattere della “rivelazione” comporta di dover distinguere la figura dell’Autore, che ha concepito, voluto e trasmesso l’opera, dalla figura di chi l’ha materialmente scritta con spirito di servizio.
Tu non sei altro che un portavoce e un canale nel quale fluisce l’onda della mia Voce — dice Gesù a Maria Valtorta il 19 luglio 1943 — … tu non sei nulla. Nulla più di un’innamorata.
Una nullità è Maria Valtorta come “mezzo” (portavoce o canale) che nulla può fare da sé; ma come “innamorata” è tutto. Per innamoramento lei annienta se stessa nell’offrirsi. Colui che si serve della sua offerta nulla potrebbe fare se non disponesse dell’appassionata totalità di lei. Sapienza e scienza divine si rivelano a Maria Valtorta, perché lei apprenda tutto con le sue spiccate capacità d’intelletto e di sensi e lo trasmetta nel linguaggio suo proprio di scrittrice dotata. Non è possibile tracciare il confine di separazione tra l’Autore e la scrittrice. L’opera è concepita da Lui. Le potenzialità di lei l’hanno realizzata.
Al portavoce, o canale, si richiede solo di eseguire. Esso è dispensato dal pensare e preordinare. Non si spiegherebbe altrimenti l’immediatezza dello scrivere di Maria Valtorta, che non deve disporre del tempo necessario per tutte le operazioni mentali (precedenti, simultanee e successive alla stesura dell’opera) che sono proprie di un autore. Lei non sapeva neppure dove il Signore l’avrebbe condotta giorno dopo giorno (secondo una sua espressione, riferita dalla testimone Marta Diciotti). Eppure la sua opera non risente di un minimo di disorganicità o di illogicità nella sequenza dei fatti, dei discorsi, dei caratteri dei personaggi, delle caratteristiche di varia natura. Senza la guida di una mente superiore l’opera, essendo scritta di getto, non avrebbe potuto evitare smagliature di sviste e di incoerenze nella trama del suo lunghissimo racconto.