Dice Gesù:

“Quell’Opera sono Io.
Non solo sono Io che la detto e la illustro,
ma sono Io che la vivo, Io che mi vi presento quale ero ai miei giorni mortali…”

I Quaderni dal 1945 al 1950, 18 febbraio 1947

L'OPERA

L’opera principale, tra gli scritti di Maria Valtorta, è pubblicata in dieci volumi sotto il titolo: L’Evangelo come mi è stato rivelato.

Narra la nascita e l’infanzia della Vergine Maria e del figlio suo Gesù, i tre anni della vita pubblica di Gesù (che costituiscono il grosso dell’opera), la sua passione, morte, resurrezione e ascensione, i primordi della Chiesa e l’assunzione di Maria.

Letterariamente elevata, l’opera descrive paesaggi, ambienti, persone, eventi, con la vivezza di una rappresentazione; delinea caratteri e situazioni con abilità introspettiva; espone gioie e drammi con il sentimento di chi vi partecipa realmente; informa su caratteristiche ambientali, usanze, riti, culture, con particolari ineccepibili. Attraverso l’avvincente racconto della vita terrena del Redentore, ricca di discorsi e di dialoghi, illustra tutta la dottrina del cristianesimo conforme all’or­todossia cattolica.

RECENSIONI IN EVIDENZA

padre-pio

“Non solo vi permetto di leggerlo, ma ve lo raccomando!”

Padre Pio da Pietrelcina
Santo
madre-teresa-di-calcutta

“Leggetelo!”

Madre Teresa di Calcutta
Santa
beato-padre-gabriele-allegra

“Un libro di grande formato, composto in circostanze eccezionali e in un tempo relativamente molto breve: questo è un aspetto del fenomeno Valtorta.”

Padre Gabriele M. Allegra
Beato
papa-pio-xii

“Pubblicatela così com’è. Chi legge quest’Opera, capirà.”

Papa Pio XII
giorgio-la-pira

“Nell’Opera sul Vangelo intitolata “Parole di vita eterna” non vi sono scorrettezze teologiche e si tratta di una esperienza di singolarissimo interesse. Questo è il mio parere.”

Giorgio La Pira
venerabile
padre-gabriele-maria-roschini

“Ho studiato, insegnato, predicato, e scritto già per mezzo secolo… la Mariologia quale risulta dagli scritti di Maria Valtorta è stata per me una vera rivelazione.”

Gabriele M. Roschini
Mariologo
cardinale-agostino-bea

“La lettura dell’Opera è non soltanto interessante e piacevole, ma veramente edificante.”

Agostino Bea
Cardinale

Dice Gesù:

“Tredici anni or sono Io ti sigillavo sotto il peso dell’infermità,
spezzando parola e attività. Hai dovuto per anni salvare col dolore.
Poi ti ho fatta fontana per salvare con la Parola. Ti ho fatta “portavoce”.
Oggi, mia violetta nascosta, ti autorizzo a disporre delle cose udite e vedute.
Con prudenza, senza avarizia, con santità e per santo fine.

I Quaderni dal 1945 al 1950, 18 dicembre 1945

#LA STESURA DE L’EVANGELO COME MI È STATO RIVELATO

LA TEMPISTICA

Maria Valtorta stese quest’opera dal 1944 al 1947. Alcuni degli ulti­mi episodi sono del 1951.

Non sempre procedeva secondo l’ordine narrativo. A volte, per contin­genti esigenze spirituali, doveva scrivere uno o più episodi fuori dalla tra­ma, e in seguito Gesù stesso le indicava dove andavano inseriti. Nonostan­te la sporadica discontinuità nella stesura e nonostante l’assoluta mancanza di schemi preparatori, sia scritti che mentali, l’opera ha una struttura perfettamente organica dall’inizio alla fine.

Per giunta, Maria Valtorta la intercalava con pagine di vari argomenti, cominciate a scrivere nel 1943 (appena ultimata l’Autobiografia) e proseguite negli anni successivi fino al 1950. Esse hanno dato corpo alle ope­re minori, che sono pubblicate in cinque volumi, oltre a quello dell’Autobiografia. Tre volumi — intitolati rispettivamente I quaderni del 1943, I quaderni del 1944 e I quaderni del 1945-1950 — raccolgono una miscel­lanea di scritti su temi ascetici, biblici, dottrinali, di cronaca autobiografi­ca, nonché descrizioni di scene evangeliche e di martirio dei primi cristia­ni. Un volume, intitolato Libro di Azaria, offre commenti ai testi (esclusi quelli del Vangelo) del messale festivo. L’ultimo volume è quello delle Lezioni sull’Epistola di Paolo ai Romani.

Altri scritti sparsi, rimasti inediti per lunghi anni, sono stati raccolti e pubblicati sotto il titolo Quadernetti. È stata anche iniziata la pubblicazione dell’epistolario con le Lettere a Madre Teresa, vol. 1 e vol. 2; Lettere a Mons. Carinci; Lettere a Padre Migliorini.

#LE TRADUZIONI DE L’EVANGELO

L'EVANGELO NEL MONDO

Le traduzioni già esistenti degli Scritti di Maria Valtorta coprono le lingue parlate in ogni parte del mondo, dalle europee ai dialetti indiani. In alcune, specialmente le principali europee, sono state tradotte l’Opera maggiore per intero ed anche, in tutto o in parte, le opere minori.

Complessivamente si arriva a poco meno di 30 lingue:

Albanese, Arabo, Armeno, Ceco, Cinese,
Coreano, Croato, Francese, Giapponese,
Indonesiano, Inglese, Lituano, Malayalam,
Olandese-Fiammingo, Polacco, Portoghese,
Rumeno, Russo, Rwandese, Slovacco,
Sloveno, Spagnolo, Svedese, Swahili, Tamil,
Tedesco, Ungherese, Vietnamita.

#COME SCRIVEVA MARIA

LA SUA VITA A LETTO TRA I DETTATI E LA QUOTIDIANITÀ

Maria Valtorta scrisse quasi ogni giorno quando, dal 23 aprile 1943, Venerdì Santo ebbe il primo “dettato” del Signore, fino al 1947, ad intermittenze negli anni successivi fino al 1951. Riempì 122 quaderni (oltre ai 7 dell’Autobiografia) per un totale di circa quindicimila pagine manoscritte.

Scriveva stando seduta nel letto, tenendo sulle ginocchia il quaderno, poggiato ad un cartolare fatto con le sue mani, e usando la penna stilografica. Non preparava schemi, non sapeva neppure cosa avrebbe scritto giorno per giorno, non afferrava a volte il senso profondo di certe pagine mentre le scriveva, non rileggeva per correggere. Non aveva bisogno di concentrarsi né di consultare libri, tranne la Bibbia e il Catechismo di Pio X. Poteva essere interrotta anche per delle banalità e riprendere senza perdere il filo, ma non la fermavano le fasi acute del suo soffrire quotidiano o il bisogno impellente di riposare. Partecipava con tutta sé stessa allo scritto che fluiva spontaneamente dalla sua penna di scrittrice dotata.

Poteva capitare che, finito di scrivere un bell’episodio o una lezione edificante, chiamasse Marta per farglieli ascoltare, sottraendola alle faccende di casa. Avrebbe poi rivisto le copie dattiloscritte del Padre Migliorini, il quale si portava in convento ogni quaderno autografo e lo riconsegnava dopo averlo fedelmente trascritto.

La sua occupazione di scrittrice a tempo pieno non la estraniava dal mondo. Maria Valtorta leggeva il giornale, ascoltava la radio, riceveva qualche visita, scriveva lettere, seguiva gli eventi e li commentava con acume. Perfino si prestava a quei lavoretti domestici che poteva eseguire senza muoversi dal letto, come preparare una verdura o pulire la gabbietta degli uccellini. Brava in tutto, sapeva usare con maestrìa ago, uncinetto e tombolo. Finché potette farlo, badava da sé alla cura della propria persona.

Soprattutto pregava e soffriva, procurando di non mostrarlo. Le sue orazioni e le sue estasi, documentate dagli scritti, non hanno avuto testimoni. Protetta da un aspetto sano, non lasciava trapelare i patimenti abbracciati con gioia spirituale per ansia di redimere. Appariva normale in tutto, anche nel mangiare: lo faceva con grande parsimonia ma con gusto. Qualche volta cantava: aveva una bella voce.

#STORIA DEL TITOLO

L'EVOLUZIONE

Vangelo di Gesù come rivelato al piccolo Giovanni. Questo il titolo originario dell’opera. Una rivelazione privata è credibile se è conforme alla Rivelazione pubblica e subordinata ad essa. L’appellativo dato a Maria Valtorta è come l’attestato di una conformità allo spirito del quarto Evangelista, che è dominante nel rapporto tra “grande” e “piccolo”.

Parole di vita eterna è il titolo che l’opera avrebbe preso se fosse stata pubblicata da una casa editrice appositamente progettata, e non più realizzata, da alcuni laici in collaborazione con due religiosi.

La divina tragedia è il titolo dato all’opera da Maria Valtorta e da Michele Pisani nel contratto sottoscritto a Viareggio il 6 ottobre 1952. Nelle intenzioni non formalizzate della scrittrice e dell’editore era un titolo provvisorio, tanto per dare inizio alla composizione tipografica dell’opera, il cui titolo sarebbe stato stabilito al momento di andare in stampa con il primo volume.

Il poema di Gesù è il titolo suggerito da un autorevole estimatore dell’opera. Approvato dalla scrittrice e dall’editore, il titolo usciva stampato sul volume primo, ma doveva essere modificato perché una casa editrice ne rivendicava l’uso esclusivo per averlo messo su un libro in versi già pubblicato.

Il poema dell’Uomo-Dio è il titolo modificato. Figurava sulla prima edizione dell’opera in quattro volumi, che era di autore anonimo perché Maria Valtorta non voleva che si facesse il suo nome mentre lei era in vita. Lo stesso titolo veniva messo sulla nuova edizione in dieci volumi, seguito dalla dicitura “Scritti di Maria Valtorta”, poiché il primo dei dieci volumi usciva nell’anno della morte della scrittrice.

El Hombre-Dios è il titolo ridimensionato che l’edizione dell’opera in lingua spagnola dovette prendere per evitare l’ambiguità della parola “poema”. Lo stesso problema si sarebbe presentato nelle traduzioni in altre lingue.

L’Evangile tel qu’il m’a été révélé è il titolo dell’edizione dell’opera in lingua francese. L’autore della traduzione avrebbe permesso la pubblicazione del suo lavoro solo se l’editore avesse messo un titolo conforme a quello originario italiano. Formulato in prima persona nella versione francese, il titolo è preceduto dal nome di Maria Valtorta, che in tal modo figura essere l’autrice dell’opera ed anche del titolo, con il quale dichiara (dispensandone l’editore) di non essere autrice in senso pieno dell’opera, ma di avere scritto con le capacità sue proprie ciò che lei vedeva e udiva per rivelazione.

L’Evangelo come mi è stato rivelato, preceduto dal nome di Maria Valtorta come autrice, è il titolo messo sull’edizione originale italiana traducendolo dal francese dopo quattordici anni di diffusione in quella lingua. Potendo essere tradotto senza difficoltà in ogni lingua, è diventato il titolo di tutte le versioni dell’opera. È il titolo definitivo.

#SUDDIVISIONE DELL’OPERA

I CAPITOLI

  1. Nascita e Vita nascosta di Maria e di Gesù
  2. Primo anno della Vita pubblica di Gesù
  3. Secondo anno della Vita pubblica di Gesù
  4. Terzo anno della Vita pubblica di Gesù
  5. Preparazione alla Passione di Gesù
  6. Passione e Morte di Gesù
  7. Glorificazione di Gesù e di Maria +  Commiato all’Opera

 

7 parti 652 capitoli suddivisi in 10 volumi

L'Evangelo come mi è stato rivelato - maria valtorta

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#IL GENERE LETTERARIO DE L’EVANGELO DI MARIA VALTORTA

TRA ESAME CRITICO E NOTE STORICHE, A CURA DI EMILIO PISANI

È possibile definire il genere letterario dell’opera di Maria Valtorta? Cerchiamo di capirlo partendo da una espressione, la più semplice e abituale, dei suoi lettori: “Si legge come un romanzo”.

Un romanzo? Certamente sì, almeno come punto di partenza. Si tratta, infatti, di un ampio componimento narrativo, la cui mole (cinquemila pagine, dieci volumi) non riesce a frenare la scorrevole lettura. Non mancano, come sappiamo, coloro che si fermano alle prime pagine, o leggiucchiano qua e là un volume preso a caso per chiuderlo subito dopo e riporlo, con gli altri della serie, nello scaffale della libreria. Ma quanti sono, all’opposto, quelli che ripetono la lettura dell’opera intera e non se ne staccano per il bisogno di averne un continuo nutrimento? A volte, proprio chi l’aveva rifiutata dopo un assaggio frettoloso e in apparenza insipido, e per lungo tempo l’aveva solo rimirata come si guarda un soprammobile, ne diventa poi un lettore assiduo. Un misto di pregiudizio per tutto ciò che ha sapore di soprannaturale e di sgomento per la mole dei dieci volumi può essere un freno alla disponibilità del lettore, fin quando non si scopre che quell’opera monumentale… si legge come un romanzo.

Non è, dunque, la brevità o una lunghezza relativa ciò che rende appetibile un romanzo, ma è piuttosto la trama di un racconto che sia avvincente e scritto in buona forma. Se questi due requisiti sono presenti nell’opera di Maria Valtorta, il suo racconto può essere paragonato a quello di un piacevole romanzo.

Sul filo conduttore di un ordinato intreccio narrativo, proprio da romanzo, l’opera valtortiana riprende e sviluppa la materia stringata ed episodica di un prodotto letterario che tutti già conoscono, bene o male, e di cui nessuno può dire di non aver mai sentito parlare: il Vangelo.

Si tratta della storia del Cristo, un argomento che non ha mai mancato di interessare, di affascinare, o solo di incuriosire.

IL RISCONTRO SCIENTIFICO

Bisogna però accertare se la trama dell’opera che lo propone tanto ampliato è tracciata su elementi immaginari, così da configurare una sorta di romanzo di fantasia, o se la sua tessitura è basata su dati che abbiano un riscontro scientifico, come sono quelli di un buon romanzo storico.

La scienza dell’autore di un romanzo storico deve poter abbracciare le conoscenze più disparate, tali da far ricostruire con apprezzabile fedeltà un ambiente nell’epoca sua propria, popolata da personaggi e animata da eventi. Farne un elenco comporterebbe delle involontarie omissioni. Detto a titolo esemplificativo, si tratta di avere  cognizione di una cultura, di una civiltà, di usi e costumi, di siti topografici e archeologici, di clima e di botanica, di comportamenti, di mentalità e di quant’altro costituisca l’essenza o il fondale della storia che si vuole raccontare.

Ugualmente con degli esempi possiamo procedere per un esame scientifico dell’opera di Maria Valtorta, considerata per ora come romanzo storico. Ecco cosa ci dicono alcuni esperti sulle sue peculiarità di scienza e non di fantascienza.

Vittorio Tredici (1892-1967) era un mineralogista di grande esperienza, che svolgeva ricerche per conto di società minerarie specializzandosi nello studio dei fosfati in Transgiordania. Dal suo attestato sull’opera valtortiana riprendiamo i passaggi più specifici in merito alla sua competenza:

Ciò che più profondamente mi colpì, sotto il profilo critico, nell’Opera, fu la conoscenza perfetta che la scrittrice aveva della Palestina e dei Luoghi dove si è svolta la Predicazione di Nostro Signor Gesù Cristo. Conoscenza che in taluni passi supera la normale cognizione geografica o panoramica, per diventare addirittura topografica e più ancora geologica e mineralogica. Sotto questo profilo, soprattutto per la zona di oltre-Giordano (attuale Giordania), non esistono — per quanto io conosca — pubblicazioni tanto dettagliate da rendere possibile neppure ad uno scienziato, che non sia stato di proposito in sito, di poter immaginare e descrivere interi percorsi con tale perfezione da far rimanere perplessi coloro i quali hanno avuto invece questa possibilità.

Io ho percorso la Palestina e la Giordania ed altri paesi del Medio Oriente in numerosi viaggi. Mi sono soffermato, in modo particolare, nella Giordania per ricerche minerarie ed ho potuto perciò vedere e seguire con occhio attento quello che sommarie e non precise pubblicazioni inglesi (le uniche che ritengo esistano in materia, per quelle zone) non possono neppur lontanamente offrire.

Ebbene io posso dichiarare, in serena coscienza, che leggendo la descrizione fatta nell’Opera di uno dei viaggi di N.S.G.C. oltre Giordano sino a Gerasa, ho riconosciuto, in modo perfetto, con il ricordo vivo che balzava alla mia mente dalla lettura, il percorso di Nostro Signore, ed ho riconosciuto la descrizione fatta con tale precisione che soltanto chi poteva o vederla od averla vista aveva la possibilità di essere in grado di ritrarla! Ma la mia sorpresa si accentuò allorquando, continuando nella lettura, io lessi una dichiarazione di carattere mineralogico, laddove rappresentando dei dicchi sporgenti simili a graniti afferma che non sono però graniti ma calcari! Dichiaro che tale distinzione poteva essere apprezzata — in sito — soltanto da un esperto! E continuando leggo ancora che sulla sommità, poco discosto, prima di riprendere la lieve discesa per Gerasa, si trova una piccola sorgente ove N.S.G.C. si fermò con la carovana a consumare una breve colazione. Ora io penso che tale sorgente, che esiste, è di così modesta entità che sarebbe sfuggita, anche transitandoci dappresso, a chiunque non fosse stato particolarmente attento.

Lo scritto che in parte abbiamo riportato è del 1952.

L’opera non era stata ancora pubblicata e veniva fatta conoscere in copia dattiloscritta ad alcuni personaggi autorevoli, sia ecclesiastici che laici. Tra essi, volendo passare ad una scienza di ben altro genere, scegliamo ora Nicola Pende (1880-1970), medico di fama mondiale, considerato un caposcuola nel campo della endocrinologia e patologia costituzionale. Ecco i brani più interessanti del suo attestato di cinque cartelle autografe:

… io, che mi occupo con le modeste mie forze delle caratteristiche umane di Gesù come risultano dai Vangeli, e come può vederle un biologo cristiano, devo affermare di aver trovato nello scritto della Valtorta questa umanità di Gesù non solo corrispondente nei suoi tratti essenziali a quella che ci hanno tramandata i quattro Evangelisti, ma scolpita ed illuminata ancora più dettagliatamente e profondamente, così da potersi dire che la Valtorta riempie col suo racconto le lacune della vita umana del Redentore…

Ma quella che in me medico ha suscitato la più grande ammirazione e la meraviglia per la perizia con cui la Valtorta descrive una fenomenologia che solo pochi medici consumati saprebbero esporre, è la scena dell’agonia di Gesù sulla croce. Il dolore spasmodico, il più atroce sofferto dal Redentore per le ferite della testa e delle mani e dei piedi sopportanti nelle piaghe il peso del corpo, provocano, nel racconto della Valtorta, delle contrazioni toniche di tutto il corpo, degli irrigidimenti tetaniformi del tronco e degli arti, che non offuscano né la coscienza né la volontà del morente, pur essendo la espressione del dolore fisico più grande prodotto dalla più grande delle torture. E tutto il corteo fenomenico dell’agonia di Gesù, così come è descritto in questo lavoro, dimostra che è stato il dolore immenso del corpo che ha fermato il respiro ed il cuore del Figliuol dell’Uomo. La pietà e la commozione più grande invade il lettore cristiano alla lettura di questa pagina stupenda, di stile veramente medico, del manoscritto di Maria Valtorta.

Della scienza personale di uno scrittore storico è anche la sua capacità di entrare nella psicologia dei personaggi che egli fa rivivere nella loro epoca, imbevuta di una cultura da riscoprire. In merito a questo aspetto dell’opera di Maria Valtorta riportiamo brevi passi degli attestati di due monsignori.

Ugo Lattanzi (1899-1969), umanista, docente di teologia fondamentale nella Pontificia Università Lateranense:

In questi volumi ci sono pagine veramente splendide per pensiero e per forma; descrizioni di situazioni psicologiche degne di Shakespeare e dialoghi condotti alla maniera socratica, degni di Platone, e descrizioni di natura e di ambiente degne del più immaginifico scrittore.

Maurizio Raffa (1906-1957), eclettico, fondatore e direttore del “Centro internazionale di comparazione e sintesi”, dove si confrontavano cultori di varie scienze:

… vi ho trovato ricchezze incomparabili. Tutti i personaggi ritratti in queste pagine vivono le loro caratteristiche inconfondibili. Il linguaggio della natura è sempre maestoso ed esalta la gloria di Dio. Volendo esprimere un giudizio sul valore intrinseco ed estetico, osservo che, per scrivere uno solo fra i molti volumi componenti l’Opera, occorrerebbe un Autore (che oggi non esiste) che fosse insieme grande poeta, valente biblista, profondo teologo, esperto in archeologia e topografia, e conoscitore profondo della psicologia umana.

Le molteplici competenze che la scrittrice Maria Valtorta manifesta nella sua opera sono, dunque, tanto eccezionali da non trovare riscontri in alcun autore del nostro tempo e, forse, di ogni tempo. Lo sta dimostrando uno studioso particolarmente versato, il francese Jean-François Lavère, le cui ricerche arrivano ad accertare non soltanto la fondatezza dei dati di ogni genere che emergono dalle descrizioni, dai discorsi e dai dialoghi dell’opera, ma anche la perfetta concordanza delle informazioni con quanto ci tramandano le sacre scritture.

Il Lavère rende conto del suo lavoro nei volumi intitolati L’Enigma Valtorta. Il Centro Editoriale Valtortiano li pubblica, nell’edizione italiana, in contemporanea con i volumi dal titolo I cieli raccontano, dove un fisico e ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Liberato De Caro, conduce attraverso l’Astronomia un’indagine storica su Gesù nell’opera valtortiana, facendo anch’egli delle scoperte inaspettate soprattutto nel datare gli avvenimenti narrati dalla Valtorta. I due studiosi (il primo in Francia, il secondo in Italia) si confrontano a distanza in un dibattito nel quale si inserisce, per via telematica, qualche lettore valtortiano che si rivela competente in materia.

L’interesse scientifico per l’opera della Valtorta ha fatto superare il livello degli studi pubblicati in modo isolato dopo gli attestati storici degli anni cinquanta.

Questi ultimi, tutti molto favorevoli alla sostanza dell’opera di Maria Valtorta, esprimevano qualche riserva sulla forma, che è l’altro elemento da valutare anche soltanto in rapporto ad un buon romanzo. Ecco cosa scrivevano alcuni di quei dotti dopo aver motivato il loro apprezzamento in merito al valore intrinseco dell’opera:

  • … mi sembra che l’opera, debitamente abbreviata, purgata e corretta, potrebbe fare un gran bene nelle famiglie cattoliche… (Agostino Bea S. J., rettore del Pontificio Istituto Biblico, poi cardinale, 1881-1968)
  • Ho notato qualche difetto in questa parte narrativa… Del resto, ritengo che queste manchevolezze debbano attribuirsi all’azione personale della scrivente e siano correggibili. (Alfonso Carinci, arcivescovo, segretario della Congregazione dei Riti, poi delle cause dei Santi, 1862-1963)
  • … vicino a pagine di una profondità teologica straordinaria si notano espressioni insolite… Secondo il mio modesto parere, i volumi, sfrondati di alcune esuberanti descrizioni, purgati e potati delle scene che ho detto, e corretti nelle espressioni “insolite”, potrebbero essere pubblicati… (Ugo Lattanzi, già citato)

LE PRIME PUBBLICAZIONI E LA VERSIONE FINALE de L’EVANGELO

Influenzato, forse, dai suggerimenti di tal genere, provenienti da persone autorevoli, Padre Berti, il religioso Servita che al “Marianum” insegnava teologia sacramentaria e al quale deve essere riconosciuto un triplice merito (avere impedito che il manoscritto dell’opera cadesse senza ritorno nelle grinfie del Sant’Uffizio; aver provocato e raccolto gli attestati di cui abbiamo trattato; aver diretto e curato con abnegazione e rischio personale le prime pubblicazioni dell’opera), ebbe un’idea balzana. Pubblicata l’opera (si era alla prima edizione, quella di quattro grossi tomi), affidò ad una persona di sua conoscenza, che era un medico dalle qualità letterarie, il compito di ritoccarla nelle forme espressive.

Il lavoro del dottor Diego Lentini (questo il nome del revisore) procedeva con molta accuratezza e veniva anche compensato; ma provocava un senso di ripulsa in chi ora lo sta rievocando, il quale riteneva che l’opera della Valtorta dovesse essere pubblicata con la fedeltà assoluta di un documento di portata storica, con pregi e difetti. Vincendo, dunque, la naturale soggezione della sua giovane età all’autorevolezza del Padre Berti, con il quale collaborava attivamente, egli riuscì a fare interrompere quel lavoro e ad ottenere di prendersi cura personalmente di un lavoro di bonifica letteraria ben più necessario e opportuno. Fu così che le pagine stampate della prima edizione, composta in tipografia copiando meccanicamente dalla copia dattiloscritta consegnata all’editore Pisani come se fosse l’originale dell’opera, poterono essere confrontate parola per parola con la scrittura dei quaderni autografi di Maria Valtorta. Quelle pagine già stampate, ma corrette a mano per ripristinare su di esse l’autenticità del testo originale, servirono a comporre una nuova edizione dell’opera, la prima ad essere suddivisa in dieci volumi.

Il collazionamento era servito ad evidenziare e correggere errori e sviste di Padre Migliorini, direttore spirituale della scrittrice, il quale, nel dattilografare in più copie il manoscritto originale di Maria Valtorta, aveva trascritto, per esempio, schiava invece di schiva, oppure un briciolo di bene invece di un bioccolo di lana. La ricercatezza di un termine poteva, a volte, aver causato nel trascrittore la lettura deformata. Un esempio per tutti. Nell’opera dell’Evangelo, il verbo sbrattare, che rende bene l’idea di far pulizia, messo in riferimento all’azione di alcuni superbi farisei che scacciano da un albergo ignoti estranei per non ritenersi contaminati dal loro contatto (137.3), era diventato sfrattare sulla copia dattiloscritta, riprodotta con le sue imperfezioni nella prima edizione dell’opera.

La ricchezza di vocabolario, impreziosita da qualche arcaismo, è parte notevole dello stile letterariamente colto dell’opera di Maria Valtorta, a tal punto che il lavoro del collazionamento con il manoscritto originale comportava di avere a portata di mano un buon vocabolario della lingua italiana per verificare l’esistenza di termini insoliti o divenuti inusuali. Nell’opera sono anche frequenti i toscanismi, sia nei termini (per esempio: ne ho basta per dire ne ho abbastanza; è peso invece di è pesante), sia nelle forme impersonali dei verbi (per esempio: noi si va invece di noi andiamo). Nella complessità della sua forma espressiva, ora fedelmente riprodotta nell’edizione stampata, l’opera rispecchia la personalità della scrittrice, capace di dare vivezza al racconto con la propria formazione culturale, frammezzata con i modi di dire dell’ambiente in cui lei viveva.

LA SCRITTRICE

Maria Valtorta era scrittrice per natura. La sua innata capacità di scrivere di getto, con proprietà di linguaggio e senza ripensamenti che potessero indurla a correggersi, la notiamo fin dal corposo manoscritto dell’Autobiografia, la prima delle sue opere, scritta (stando a letto, già inferma) nel giro di un paio di mesi. Destinata al padre spirituale, che gliela aveva richiesta, è in forma epistolare. Lo stesso stile ricompare a tratti negli scritti di ben altro genere, iniziati subito dopo e tra i quali eccelle l’opera sul Vangelo che è oggetto del nostro esame. Vi è come un accenno di continuità stilistica. Nell’Autobiografia la Valtorta ha raccontato se stessa al buon Padre Migliorini; ora continua a rivolgersi a lui, ma solo in misura sporadica, per raccontargli ciò che “vede” e “sente”. Nel secondo caso lo stile epistolare è marginale e secondario, così da non autorizzare a ridefinire il genere letterario dell’opera.

Vi è un altro aspetto da notare, piuttosto, e consiste nel fatto che la materia straordinaria dell’opera non impedisce a Maria Valtorta di trattare, nello stesso tempo, un’ordinarietà di rapporti, di sentimenti, di vicende, nelle lettere a vari destinatari, compreso il Padre Migliorini. Questa capacità di alternare la stesura di un’opera colossale, di grande complessità, con una fitta corrispondenza epistolare, starebbe ad indicare che la “scienza” dell’opera non impegna la scrittrice come attività creativa, perché non la porta a concentrarsi e ad isolarsi.

Scrivere lettere, come l’avere scritto le proprie memorie, è congeniale a Maria Valtorta. La stessa genialità lei ancora la usa per registrare ciò che le viene dato da trasmettere. È un particolare aspetto che riguarda la natura dell’opera, ma potrebbe essere anche un elemento capace di far riconsiderare il suo genere letterario.

ROMANZO O NO?

“L’opera di Maria Valtorta è stata pubblicata come un romanzo, e spero che a tal titolo continui a ristamparsi e spesso nell’avvenire, ma non è un romanzo”. La lapidaria sentenza è di P. Gabriele M. Allegra (1907-1976), francescano missionario in Cina, primo traduttore della Bibbia in lingua cinese, proclamato Beato il 29 settembre 2012. Egli prosegue: “… non è un romanzo. È il complemento delle quattro tradizioni evangeliche e la spiegazione di esse”.

Esegeta e letterato, uomo di fede e di scienza, apostolo in terra di missione, Padre Allegra dichiara i suoi apprezzamenti per l’opera valtortiana nelle note del diario e nelle lettere a confratelli, a parenti, a conoscenti. Eccone alcuni stralci:

… io sento in questo libro il Vangelo, o meglio il profumo inebriante del Vangelo.

È un’opera che fa crescere nella cognizione e nell’amore del Signore Gesù e della sua Santa Madre.

… certi discorsi del Signore, dei quali nei Vangeli è solo accennato l’argomento principale, sono sviluppati in quest’opera con una naturalezza, con una concatenazione di pensiero così logica, così spontanea, così aderente al tempo, al luogo, alle circostanze, che non ho trovato nei più famosi esegeti.

… non contraddice mai al Vangelo, ma lo completa mirabilmente e lo rende vivo e potente, tenero ed esigente.

Circa l’esegesi della Valtorta ci sarebbe da scrivere un libro…

Dunque: si legge come un romanzo, ma non è un romanzo. Neppure si può dire che sia un’opera esegetica in senso stretto, cioè d’interpretazione dei testi evangelici, perché l’intento propriamente tale lo troviamo solo in qualche “dettato” a commento di un noto fatto evangelico: quando, per esempio, viene rettificata e chiarita l’espressione “il giorno dopo” in un passo del Vangelo di Giovanni (47.10), oppure quando viene integrata con un “più” la risposta di Gesù alla Madre nelle nozze di Cana (52.7), o corretta l’espressione “bere il mio calice” in “bere al mio calice” (577.11). Le inesattezze vengono addebitate non alla redazione originale degli evangelisti ma all’opera dei traduttori. Tuttavia anche agli evangelisti non viene risparmiata qualche critica, magari con una motivazione che li giustifica, come quando (in 594.9) Gesù spiega le ragioni per cui essi non hanno tramandato la lezione sul fico sterile.

La critica esegetica è marginale nell’opera, eppure tutta l’opera costituisce un formidabile contributo all’esegesi dei quattro Vangeli. Lo dimostra il presente libro portando l’esempio di significativi passi evangelici che l’opera della Valtorta “fa comprendere nella loro pienezza”, come è scritto nella premessa, aggiungendo: “attraverso il racconto della vita terrena di Gesù”. Ecco il punto: è un’opera biografica. Qualche lettore, con encomiabile audacia, l’ha definita Autobiografia di Gesù, non potendo rinunciare a crederla “rivelata”.

Se può essere accettata come tale, nel rispetto delle regole che la teologia cattolica detta per qualificare le rivelazioni private, non vi è alcun dubbio che la conoscenza viva e reale di tutto ciò che Gesù faceva e diceva giorno dopo giorno, con il corollario del resoconto della sua nascita e infanzia e, infine, della passione, morte e resurrezione, altro non sia che la conoscenza piena del Vangelo. Perciò il genere biografico, riferito alla Persona di Gesù, risponde bene alla finalità evangelizzante dell’opera di Maria Valtorta.

Il carattere della “rivelazione” comporta di dover distinguere la figura dell’Autore, che ha concepito, voluto e trasmesso l’opera, dalla figura di chi l’ha materialmente scritta con spirito di servizio.

Tu non sei altro che un portavoce e un canale nel quale flui­sce l’onda della mia Voce — dice Gesù a Maria Valtorta il 19 luglio 1943 — … tu non sei nulla. Nulla più di un’innamorata.

Una nullità è Maria Valtorta come “mezzo” (portavoce o canale) che nulla può fare da sé; ma come “innamorata” è tutto. Per innamoramento lei annienta se stessa nell’offrirsi. Colui che si serve della sua offerta nulla potrebbe fare se non disponesse dell’appassionata totalità di lei. Sapienza e scienza divine si rivelano a Maria Valtorta, perché lei apprenda tutto con le sue spiccate capacità d’intelletto e di sensi e lo trasmetta nel linguaggio suo proprio di scrittrice dotata. Non è possibile tracciare il confine di separazione tra l’Autore e la scrittrice. L’opera è concepita da Lui. Le potenzialità di lei l’hanno realizzata.

Al portavoce, o canale, si richiede solo di eseguire. Esso è dispensato dal pensare e preordinare. Non si spiegherebbe altrimenti l’immediatezza dello scrivere di Maria Valtorta, che non deve disporre del tempo necessario per tutte le operazioni mentali (precedenti, simultanee e successive alla stesura dell’opera) che sono proprie di un autore. Lei non sapeva neppure dove il Signore l’avrebbe condotta giorno dopo giorno (secondo una sua espressione, riferita dalla testimone Marta Diciotti). Eppure la sua opera non risente di un minimo di disorganicità o di illogicità nella sequenza dei fatti, dei discorsi, dei caratteri dei personaggi, delle caratteristiche di varia natura. Senza la guida di una mente superiore l’opera, essendo scritta di getto, non avrebbe potuto evitare smagliature di sviste e di incoerenze nella trama del suo lunghissimo racconto.

LO STRUMENTO UMANO

La scrittrice Maria Valtorta rimane sempre e comunque uno strumento umano. Il curatore dell’edizione della sua opera ha segnalato nelle note qualche suo evidente lapsus calami, che è l’errore involontario proprio di chi scrive currenti calamo. Infatti lei non si metteva a correggere il proprio manoscritto; però rivedeva, poi, una delle copie dattiloscritte del Padre Migliorini e su di essa, a volte, si correggeva. L’edizione stampata dell’opera, che riproduce fedelmente il manoscritto originale, segnala e documenta nelle note questi suoi interventi successivi sul dattiloscritto, che rettificano qualche termine nelle descrizioni di quanto lei “vedeva” e quasi mai intervengono sulla terminologia di quanto lei “udiva”. Nei due modi di “ricevere” si riflette una diversità di stile ed anche di atteggiamento. Lei ha la responsabilità di osservare e di descrivere, ma non risponde del contenuto dei discorsi e dei dialoghi. Questi non sono di sua competenza.

Prendiamo un piccolo esempio. Uno dei personaggi minori dell’opera (sono centinaia) è il maniscalco romano Tito, bonaccione e onesto lavoratore. Ha sposato l’ebrea Ester, che l’ama e vorrebbe farlo proselite. La donna supplica Gesù dopo avere ascoltato un suo discorso ed essersi confidata con Lui:

«… Prega per il mio sposo! Che sia del vero Dio…».

«Lo sarà. Stànne sicura. Tu chiedi cosa santa e l’avrai. Tu hai compreso i doveri della moglie verso Dio e verso lo sposo. Così fosse di tutte le spose! In verità ti dico che molte dovrebbero imitarti. Continua ad essere così e avrai la gioia di avere il tuo Tito al tuo fianco, nella preghiera e nel Cielo. Mostrami i tuoi figli».

La donna chiama la numerosa prole: «Giacobbe, Giuda, Levi, Maria, Giovanni, Anna, Elisa, Marco». E poi entra in casa e ne esce con uno che cammina appena e uno di tre mesi al massimo: «E questo è Isacco, e questa piccolina è Giuditta», dice finendo la presentazione.

«Abbondanza!», dice ridendo Giacomo di Zebedeo.

E Giuda esclama: «Sei maschi! E tutti circoncisi! E con nomi puri! Brava!». (331.12-13)

Al colto Giuda Taddeo non poteva sfuggire che il nome di uno dei sei maschi (Marco, di origine latina) non era “puro” secondo la concezione ebraica, pur essendo un nome di uso comune in Palestina. La Valtorta si è sbagliata? Nient’affatto. Si tratta, invece, di entrare nella mentalità di Giuda, che aveva ascoltato Ester parlare del marito a Gesù con grandi elogi: “… Mi lascia sempre fare coi figli. Usi, riti, tutto ebraico qui!… Tito è buono… Per le nostre feste chiude la mascalcia, con grande perdita di denaro, e mi accompagna coi figli al Tempio. Perché dice che senza religione non si può stare. Lui dice che la sua è quella della famiglia e del lavoro, come prima era quella del dovere di soldato…”. L’apostolo doveva esserne rimasto colpito e, forse, non aveva voluto offendere il buon Tito con una precisazione: “E con nomi puri,… tranne uno!”.

È un esempio di realismo storico, dovuto non alla ricostruzione geniale di Maria Valtorta, che addirittura se ne mostra ignara, ma alla fonte della “rivelazione”. Alla stessa fonte si deve la storicità dei grandi discorsi e dei serrati dialoghi che sono nell’opera, al confronto dei quali l’esempio citato è di minuscola importanza.

LE ISTRUZIONI DAL CIELO

La “rivelazione”, tuttavia, non costituisce l’elemento determinante nella logica dell’Autore dell’opera, per la cui diffusione Egli dà istruzioni e direttive (pubblicate tra gli scritti minori della Valtorta) in cui prevale un interesse che potremmo definire, con termine moderno, di apostolato. Si vuole che l’opera sia offerta come nutrimento alle anime in questo nostro tempo di smarrimenti e di deviazioni morali e spirituali.

A tal fine la tattica divina segue una linea di correttezza che si può comprendere solo in un disegno di insegnamento e di monito, giacché non è condizionata dalla preveggenza dell’insuccesso. L’autorità della Chiesa cattolica, sul cui terreno l’opera è nata, viene riconosciuta. La stessa Maria Valtorta si definisce “figlia obbedientissima della Chiesa”, e tale è. Alla Chiesa, che è in Roma ma è universale, si chiede di poter pubblicare l’opera con il benestare del suo “imprimatur”. La richiesta passa per il tramite di un consolidato Ordine religioso (quello dei Servi di Maria, al settimo secolo di vita) al quale l’opera viene destinata come “dono” e affidata insieme con il dovere di prendersi cura della scrittrice, che ne è lo strumento.

È un percorso in piena regola. Ad un certo punto viene fatto presente alla scrittrice che le forme espressive che denotano la “rivelazione” potrebbero rappresentare un ostacolo all’approvazione ecclesiastica. E allora lei, inferma, si fa dare una delle copie dattiloscritte dell’opera e su di essa si mette a depennare o correggere i “vedo” e i “sento” ed a rendere impersonale ogni altra forma verbale. Inutile fatica. L’Ordine religioso, mal disposto ad accogliere le direttive che la Valtorta trasmette per mandato divino, non si mostra zelante quanto lei e compie passi falsi. Le autorità ecclesiastiche si irrigidiscono e impongono proibizioni fino a minacciare la condanna dell’opera se sarà pubblicata (come infatti avverrà, dieci anni dopo).

La voce dell’Autore cambia tono (da Quadernetti di Maria Valtorta, con data del 6 gennaio 1949):

«… qualora in maniera definitiva si decretasse, con sacrilego puntiglio, che l’opera mia è condannabile,… permetto che l’opera sia pubblicata come ogni scritto d’uomo. Ma questo non per consenso mio al loro giudizio, non per sconfessione della natura dell’opera e del vero Autore di essa, da parte mia, ma soltanto per pietà delle anime… Voglio che le anime possano bere alla Fonte vitale della mia Parola… Apriamo allora per costoro un altro sfocio alla Divina Fonte, e il Maestro Buono, Colui che porta la Buona Novella, la Parola di Vita che “uscita dalla mia Bocca non tornerà a Me senza frutto, ma opererà tutto quello che voglio e compirà quelle cose per le quali l’ho mandata” [Isaia 55,11], la Parola di Vita, di Salute, di Guida, di Verità, di Amore, per tutti, andrà nuovamente ed ugualmente ai ciechi, ai sordi, agli storpi e paralitici, ai lebbrosi, ai folli, ai morti, agli assetati e affamati dello spirito, per aprire occhi e orecchi al Vero, restituire agilità allo spirito storpiato o paralizzato, guarigione dal senso a chi il senso fa lebbroso di peccato, ragione alle menti deliranti per demoniaca possessione di dottrine antidio, ai morti nell’anima per risuscitare il loro spirito, a chi ha fame e sete di Me e del Cielo perché si satollino, a tutti, a tutti, a tutti, anche a quelli che non pensano di incontrare Me leggendo un’opera.»

Non si può negare che la mancata approvazione ecclesiastica ufficiale penalizza i fedeli cattolici, ma dobbiamo anche ammettere che favorisce non-fedeli e non-cattolici, i quali in genere hanno prevenzioni verso il sigillo di un’autorità religiosa costituita. Infatti l’opera ha potuto raggiungere, e continua a raggiungere, una universalità di lettori perché si diffonde in conformità con l’intuizione profetica del Beato Gabriele M. Allegra: … è stata pubblicata come un romanzo, e spero che a tal titolo continui a ristamparsi e spesso nell’avvenire, ma non è un romanzo.

Emilio Pisani

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